L’irrigazione a goccia negli ultimi 30 anni ha avuto una diffusione ed uno sviluppo notevole, tanto che oggi, passati gli scetticismi dei primi tempi, si può definire a pieno titolo il sistema di irrigazione più valido per i numerosi ed evidenti vantaggi che presenta (minor consumo di acqua, minori costi gestionali, migliore controllo delle infestanti, riduzione del numero di trattamenti, maggiore produzione e qualità, ecc.).
Purtroppo non si può dire altrettanto della pratica della fertirrigazione sulla quale esistono ancora tanti dubbi e spesso viene applicata in campo senza una precisa cognizione tecnico-agronomica dei sistemi, delle dosi e dei momenti di distribuzione o, addirittura, non viene applicata per niente.
D’altra parte le due cose vanno perfettamente di pari passo, un impianto di irrigazione che venga utilizzato solo per irrigare e non per fertirrigare, è un sistema che viene sfruttato solo al 50% del suo potenziale.
In questa sede cercheremo di approfondire meglio le ragioni per cui, a nostro avviso, non possiamo più trattare questo argomento come un semplice sistema di irrigazione, ma, irrigazione a goccia e fertirrigazione vadano intesi, a tutti gli effetti, come una importante tecnica agronomica.
Rapporto acqua, radici e terreno
Per capire come agiscono a livello radicale la l’irrigazione a goccia e la fertirrigazione dobbiamo prima di tutto richiamare un termine agronomico importantissimo che è la “capacità idrica di campo”.
Si definisce capacità idrica di campo “la quantità massima di acqua che le forze di capillarità sono in grado di trattenere in un terreno dopo che sia stata sgrondata tutta quell’acqua che non è trattenuta dalle particelle del terreno e che percola in profondità”. Quest’acqua, che in teoria potrebbe essere utilizzata dai vegetali più facilmente perché non trattenuta dalle forze di capillarità del terreno, in realtà risulta essere dannosa alle colture in quanto o è percolata negli strati più profondi dove l’apparato radicale non è attivo e non riesce ad utilizzarla o, nel caso non percoli provoca pericolosi ristagni idrici. Tali ristagni rendono asfittico il terreno eliminando tutto l’ossigeno presente che rappresenta un elemento fondamentale perché avvengano i processi di respirazione dell’apparato radicale.
Fatta questa premessa dobbiamo ora capire come, con un impianto a goccia, l’acqua entri nel terreno “delicatamente” e lentamente e questo rappresenti il grosso vantaggio rispetto ad altri sistemi di irrigazione.
In teoria, perché si possa raggiungere e mantenere il terreno intorno alla capacità idrica di campo, un gocciolatore dovrebbe avere una portata il più bassa possibile; ossia l’acqua dovrebbe sempre entrare nel terreno con una velocità pari o inferiore alla velocità di assorbimento del terreno stesso. Questo rappresenta il vantaggio fondamentale rispetto ai sistemi per aspersione, i quali non rispettano le caratteristiche fisiche del terreno: l’acqua entra con forza nel terreno causando quello che possiamo definire un “un effetto pistone” che elimina l’aria presente provocando facilmente fenomeni di asfissia e allontanandosi, di conseguenza, dalla condizione ottimale della capacità idrica di campo.
Mantenere nel terreno un livello di umidità costante e ottimale rappresenta la condizione essenziale per un efficace trasporto dell’acqua e degli elementi nutritivi attraverso quei microtubi costituiti dallo xilema della pianta. L’instaurarsi di condizioni di stress idrico dovute ad eccesso o a carenza di acqua possono costituire un ostacolo grave allo svolgimento di tali funzioni con conseguenti danni per la coltura che si traducono il più delle volte in una minor produttività.
Controllo della profondità di irrigazione
L’irrigazione tradizionale per aspersione prevede turni di irrigazione molto distanti tra loro nel tempo e volumi abbondanti di acqua. L’introduzione dell’irrigazione a goccia ha stravolto in parte questo modo di lavorare introducendo il concetto di alta frequenza dell’irrigazione con basse portate.
Pertanto, mentre prima si era costretti ad irrigare apportando grandi volumi di acqua fino negli strati più profondi del terreno, confidando in una risalita capillare nel tempo dell’acqua, con l’irrigazione a goccia possiamo tenere umida costantemente una zona ben delimitata di terreno senza approfondire l’acqua negli strati non interessati dall’apparato radicale.
La profondità che ci interessa raggiungere è funzione ovviamente della specie che stiamo coltivando. Per la maggior parte delle specie erbacee possiamo tranquillamente considerare che la parte di apparato radicale attiva può essere localizzata nei primi 30 cm di terreno mentre per la maggior parte delle specie arboree possiamo considerare interessati i primi 60-80 cm.
Una pianta di pomodoro, per esempio, se irrigata in profondità con grossi volumi di acqua e turni molto distanziati è in grado di sviluppare radici in senso verticale e orizzontale fino a 1,5 m, mentre irrigata a goccia in maniera corretta contiene lo sviluppo radicale entro volumi molto più ristretti.
Un apparato radicale di dimensione contenute con radici corte e ben sviluppate, rappresenta per la coltura un notevole vantaggio in termini di efficienza di trasporto della soluzione circolante. In questo modo acqua ed elementi nutritivi vengono traslocati all’interno dello xilema compiendo percorsi molto più brevi con un minor dispendio di energia degli organi fotosintetizzanti. Tale risparmio di energia si può tradurre in un considerevole incremento delle rese rispetto a piante con radici molto allungate.
Inoltre lo strato più superficiale del terreno è sicuramente quello dove si trova la maggior quantità di aria e quindi è in questo strato che l’apparato radicale trova più facilmente le condizioni ideali per svolgere i processi respiratori necessari alle sue funzioni fisiologiche.
I tempi necessari all’acqua per raggiungere una determinata profondità variano in base alla struttura del terreno su cui operiamo; chiaramente in un terreno sabbioso impiegherà un tempo relativamente breve per raggiungere i 30 cm di profondità, pertanto, per soddisfare le esigenze idriche giornaliere della coltura potrà essere necessario intervenire molto frequentemente con l’irrigazione ( in alcuni casi anche più volte al giorno); al contrario nei terreni argillosi la percolazione dell’acqua avviene molto più lentamente e di conseguenza i turni potranno essere più distanziati.
In ogni caso è importante raggiungere ad ogni fertirrigazione la profondità stabilita per evitare accumulo di sali dannosi negli strati intermedi più superficiali.
Tale tecnica permette di risparmiare notevoli quantità di fertilizzanti, sia per una maggiore efficienza degli elementi nutritivi dovuta alla forma solubile più facilmente disponibile per la pianta direttamente in prossimità dell’apparato radicale attivo, sia perché si evita un inutile perdita per lisciviazione che, oltretutto, può frequentemente creare problemi di inquinamento delle falde più superficiali.
Calcolo dei reintegri irrigui
Conoscere la quantità esatta di acqua di cui una coltura ha bisogno rappresenta sicuramente un dato difficilmente noto e al quale, per molto tempo, non è stata data la giusta importanza. Troppo spesso l’irrigazione viene effettuata su base empirica rischiando facilmente di creare problemi di stress idrico alla coltura sia in eccesso che in difetto di acqua.
In questa sede riteniamo opportuno dare alcune semplici indicazioni dei dati necessari per calcolare il reintegro irriguo di alcune colture e gli strumenti per capire come procedere al calcolo, senza peraltro entrare troppo in dettaglio sui sistemi scientifici.
Rapporto di irrigazione (R.I.)
Il rapporto di irrigazione o precipitazione dell’impianto rappresenta un dato fondamentale da conoscere per procedere all’irrigazione. Questo dovrebbe essere fornito all’agricoltore dall’installatore dell’impianto, altrimenti può essere calcolato conoscendo: la distanza tra le ali gocciolanti (D1), la distanza tra i gocciolatori (D2) e la portata del gocciolatore (Qg).
Il risultato così ottenuto ci fornirà quanti litri ora di acqua saranno distribuiti su di un ettaro; dividendo per mille avremo i metri cubi per ora e, dal momento che 10 m3/h corrispondono su di un ettaro a 1 mm/h, dividendo di nuovo per 10 otterremo quanti millimetri di acqua ogni ora il nostro impianto restituisce alla coltura su un ettaro di superficie.
Per capire meglio il concetto di millimetri supponendo che il nostro impianto restituisca 1 mm/h, possiamo immaginare che in un’ora sulla superficie di un ettaro si distribuisce un velo d’acqua spesso 1 mm (10 m3) su tutta la superficie di un ettaro.
Evapotraspirazione Potenziale ed Effettiva (ETP, ETE) e Coefficiente Colturale (Kc)
Introduciamo ora un concetto fondamentale che ci permetterà di conoscere i consumi idrici della coltura: l’evapotraspirazione.
Questa rappresenta la somma delle perdite d’acqua di una coltura dovute all’elemento traspirazione e quelle conseguenti all’evaporazione. I fattori che influenzano questo parametro sono molteplici: ventosità, radiazione solare, temperatura e umidità dell’aria.
Il sistema più semplice e più attendibile, per l’uso dell’esercizio irriguo, utilizzato per conoscere il dato di partenza dell’evaporazione (E) è l’evaporimetro di “classe A” Pan. Tuttavia oggi è sempre più utilizzato il dato della ETP ottenuto da centraline meteo che registrando i dati di temperatura, velocità del vento, umidità relativa e radiazione solare, sono in grado di fornire direttamente il valore di ETP applicando la formula di Penman-Monteith.
Una volta noto questo dato, quello quel che interessa ai fini pratici è l’EvapoTraspirazione Effettiva (ETE) che rappresenta il reale fabbisogno irriguo della coltura il quale è espresso nella seguente formula:
ETE = ETP · Kc
dove Kc rappresenta il coefficiente colturale della coltura. Questo varia da coltura a coltura, in funzione delle caratteristiche fisiologiche della specie e durante il ciclo colturale, aumentando man mano che la coltura raggiunge il massimo sviluppo e, di conseguenza, aumenta la superficie fogliare e la percentuale di suolo coperta dalla vegetazione. Tali coefficienti sono sperimentali e sono pubblicati su scala internazionale dalla FAO, tuttavia alcuni di essi sono stati rivisti e modificati sulla base di esperienze locali ed anche in funzione del sistema di irrigazione adottato.
Ottenuto, infine, il dato espresso in millimetri della quantità di acqua da reintegrare alla coltura giornalmente, sarà sufficiente dividerlo per il rapporto di irrigazione di cui abbiamo parlato precedentemente per conoscere quante ore dovremo tenere acceso il nostro impianto:
Una volta stabilito quante ore di irrigazione giornaliere necessita la nostra coltura, dovremo verificare il tempo che impiega l’acqua per raggiungere la profondità desiderata e, in base a questo stabiliremo i turni di irrigazione.
Caratteristiche dell’impianto
Perché un impianto possa soddisfare al meglio i requisiti per una corretta “fertigazione”, è di fondamentale importanza che i materiali utilizzati ed il dimensionamento dell’impianto garantiscano un elevata uniformità di distribuzione sia dell’acqua, ma, soprattutto dei fertilizzanti. Infatti, se gli effetti di una cattiva uniformità di distribuzione dell’acqua spesso possono essere mascherati da un andamento stagionale piovoso; lo stesso non accade per gli effetti dovuti a differenti concentrazioni di fertilizzanti che le piante possono ricevere.
Quando si fa fertirrigazione si deve tenere sempre in grossa considerazione la concentrazione di sali che andiamo a creare nella soluzione circolante del terreno. Questa è data dalla somma di tre componenti: sali presenti nella soluzione circolante del terreno, sali presenti nell’acqua di irrigazione e sali apportati in fertirrigazione. Questi ultimi sono quelli più importanti che possiamo gestire controllandone la concentrazione, in modo da consentire alla coltura un corretto assorbimento degli elementi minerali apportati.
Per questo motivo l’uniformità di erogazione dell’acqua di un’ala gocciolante e dei sistemi di iniezione dei fertilizzanti non è mai abbastanza, ma dobbiamo sempre tendere ad ottenere la massima precisione possibile al fine di ottenere esattamente il prodotto che ci siamo prefissi e che il mercato richiede.
Questa guida è stata scritta da: Dott. Agr. Diego Zuccari